Voluta dal conte Luigi Tadini in memoria dell'unico figlio, morto in giovane età

.
L'Accademia di Belle Arti Tadini, uno scrigno d'arte e d'antichità sulle rive del lago d'Iseo
.
di Denis Pianetti
.
Per la nobile e rinomata famiglia dei conti Tadini, il sogno di una vita serena e tranquilla nella nuova dimora sulle magiche rive del lago Sebino, s’infranse d’improvviso una calda giornata d’estate del 1799. Fu un tragico destino che segnò per sempre la loro esistenza, nonché il futuro del ricco casato e delle proprietà che gli appartenevano. Eppure, su quella sventura nacque un’iniziativa, una tradizione, che perdura nel tempo e che ancora oggi considerata una delle principali testimonianze storiche e culturali della splendida cittadina lacustre.

Discendente da una famiglia patrizia cremasca, il conte Luigi Tadini, era da poco venuto in possesso, per via ereditaria, dell’antico palazzo Barboglio, nel cuore storico di Lovere, già proprietà di Scipione Barboglio de Gaioncelli, un violento signorotto appartenente ad una illustre famiglia locale e vissuto tra il ‘500 e il ‘600. L’eredità comprendeva l’antica dimora di famiglia, eretta verso la metà del XVI secolo, nonché strutture ben più antiche, anche se piuttosto dismesse, ad essa inglobate.
Quella dei Tadini fu una illustre famiglia presente nel bergamasco già a partire dal 1381 con Antoniolo da Caravaggio, abitante in Brignano e cittadino di Bergamo. Luigi Tadini, che nacque a Verona nel 1754 e morì a Lovere nel 1829, acquisì il titolo comitale in seguito alle nozze con Libera Moronati, contessa di Salizzole (borgo del veronese), dalla quale ebbe, nel 1774, l’unico figlio ed erede del casato, Faustino Gherardo. In quel di Crema, il conte Tadini, si distinse per i vivi interessi culturali e scientifici, ma soprattutto per la sua entusiastica adesione alla Rivoluzione Francese, accogliendo l’esercito repubblicano nel 1797 e diventando Capo Legione della Guardia Nazionale [1].
.
Nel 1799, mentre i Tadini si apprestavano a trascorrere la stagione estiva nella dimora di Lovere, il crollo improvviso di un’ala del palazzo, ancora in corso di ristrutturazione, travolse ed uccise il giovane Faustino. Aveva solo venticinque anni. Il conte, che in seguito a quel fatto aveva abbandonato Lovere, vi fece ritorno intorno al 1817, consacrando alla memoria del giovane una cappella e disponendo che il suo patrimonio e le sue collezioni d’arte, raccolte tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, fossero messe a disposizione della comunità attraverso la fondazione di un istituto di belle arti, con finalità educative: un edificio che servisse non solo per l’esposizione delle collezioni, ma anche come scuola di arte, di disegno, di musica. L’intero progetto fu affidato all’architetto Sebastiano Salimbeni, nipote della moglie del Tadini e la sua realizzazione avvenne tra il 1821 e il 1826.
La Cappella gentilizia dei Tadini venne costruita nel silenzio di un giardino, stretta tra le due ali della nuova costruzione, situata accanto alla residenza ereditata dai Barboglio (sull’attuale piazza Garibaldi). Il conte seguì da vicino i lavori del palazzo dell'Accademia, proponendo varie soluzioni statiche e funzionali. Il palazzo, affacciato con il suo lungo prospetto sulle rive del lago d’Iseo, ha due piani ed è realizzato in stile neoclassico con elementi di tradizione veneta. Stile che ampiamente conserva ancora oggi, con pareti e soffitti che furono dipinti nel 1826 da Luigi Dell’Era secondo una tecnica a tempera su carta, poi applicata su tela, solitamente in uso per realizzare scenografie teatrali.

Nel 1826, a conclusione dell’opera, fu posta sullo scalone d’ingresso una lapide che consacrava il palazzo alle arti, alle lettere e alle scienze naturali, tutte categorie che avrebbero rappresentato le collezioni esposte. Collezioni che il conte Tadini cominciò a trasferire da Crema a partire dal 1827. L’anno successivo, per tenere vivo il ricordo del figlio ed il nome del casato, istituì la “Accademia di Belle Arti Tadini”, comprendente oltre alla pinacoteca e al museo, la scuola di disegno e quella di musica [2].
Il monumento dedicato a Faustino Tadini rappresenta il cuore dell’Accademia, punto di partenza ideale per l’edificazione del complesso. La celebrazione delle sepolture degli uomini illustri, consacrata dal poemetto I Sepolcri di Ugo Foscolo (pubblicato a Brescia nel 1807), trova qui una concreta manifestazione. Per la scultura destinata a rendere immortale la memoria del figlio il conte Tadini si rivolse ad Antonio Canova, della cui opera Faustino era stato tra i primi critici: nel 1796 infatti aveva pubblicato un volumetto dedicato alle sculture canoviane, con commento in versi e in prosa. Fu forse per questa ragione, e per onorare un rapporto che il carteggio tra lo scultore e il giovane fanno intendere di amicizia, che Canova, allora considerato il massimo artista vivente, accettò l’incarico offertogli dal conte Tadini di scolpire il cenotafio commemorativo. La stele riprende il tema classico della madre dolente che piange davanti all’urna cineraria: “In questa donna – commentò al tempo il conte Tadini – lo scultore raffigurò le sembianze della madre, la quale vide coi propri occhi perire il figlio” [3]. Lo scultore curò anche la sistemazione del monumento, suggerendo una luce radente per accentuare i morbidi trapassi plastici del rilievo. Il marmo, concluso nell’ottobre 1820, giunse a Lovere l’anno successivo, e fu inaugurato con una solenne cerimonia pubblica, durante la quale lo scultore fu celebrato con un inno poetico: “sarai sempre d’ogni secolo / gran Canova lo stupor”.

Il museo dell’istituto di Belle Arti Tadini, è oggi un raro esempio di galleria di primo Ottocento e raccoglie una serie di collezioni, da quella archeologica a quella grafica, di dipinti e sculture, di mobili e arazzi, di strumenti musicali, vetri e porcellane, medaglie, armi e armature; tutte trassero origine dalla passione per il collezionismo del conte, frutto di acquisti e scambi di cui abbondava il mercato antiquario d’inizio Ottocento.
In particolare, la pinacoteca comprende importanti dipinti di scuola lombarda e veneta del XV e del XVI secolo, tra cui opere di Lorenzo Veneziano, Jacopo Bellini, Domenico Tintoretto, il Parmigianino, Domenico Morone, Paris Bordon, Bernardino Campi e, per le epoche successive, dipinti di Giacomo Ceruti, detto il “Pitocchetto”, di Giandomenico Tiepolo, Francesco Hayez, Cesare Tallone. Espone inoltre importanti pezzi delle manifatture di Sèvres, Meissen, Hochst, Capodimonte.

Il progetto del conte Luigi Tadini si inquadrava perfettamente nel vivace dibattito culturale sulla funzione educativa del museo, sostenuto da istanze di tipo illuminista e da un forte senso civico, che interessa i principali centri lombardi tra Sette e Ottocento. Alcuni aristocratici, consapevoli della funzione educativa dell’arte, cominciarono ad aprire al pubblico le proprie collezioni dove erano raccolti capolavori che dovevano servire da modello alle nuove generazioni di artisti, la cui formazione avveniva nelle annesse scuole di pittura, scultura, disegno. Nel giro di pochi anni, accanto e su modello dell’Accademia di Brera, di fondazione statale (1776), nacquero gli “stabilimenti” o “istituti” di Belle Arti di origine privata: un panorama ampio e complesso, che finì per comprendere l’Accademia Carrara a Bergamo (1795), la Pinacoteca di Paolo Tosio a Brescia (1832), lo Stabilimento di Belle Arti Malaspina a Pavia (1833), l’Istituto Ala Ponzone a Cremona (1842), tutte istituzioni che sono all’origine dell’attuale sistema museale lombardo.
.
La Galleria dell’Accademia è oggi ritenuta una tra le principali collezioni lombarde e ospita una fra le più attive scuole di musica che dal 1927 promuove una importante rassegna musicale, affidata ad interpreti di altissimo livello. L’Accademia musicale svolge un regolare anno scolastico e organizza corsi di perfezionamento per violinisti, violoncellisti e cantanti lirici; nella sua sala principale si tengono ogni anno, ad aprile e a maggio, concerti di musica da camera. Esiste anche, all’interno del palazzo, un laboratorio di restauro in grado di assicurare la costante manutenzione dei dipinti della pinacoteca, nonché di opere esterne appartenenti sia ad enti pubblici che privati.
Il dipartimento archeologico e la biblioteca hanno mantenuto l’allestimento di età neoclassica, con vetrine e scansie originali, mentre la Galleria delle armi è stata rivista nel secondo dopoguerra secondo un gusto tipico del primo romanticismo.
L’ultima sala del percorso museale, la XXIII, ovvero l’antica biblioteca, è forse quella più segreta ed interessante. Segreta perché ancora chiusa alla visita e alla consultazione, in attesa che il locale e gli arredi vengano restaurati e, soprattutto, che una nuova catalogazione renda nota e accessibile la rara e considerevole raccolta di libri. Qui, infatti, nelle originali alte scaffalature di stile neoclassico, il conte Tadini raccolse i suoi libri: testi di letteratura, storia, arte, scienze; un patrimonio che comprende incunaboli del Quattrocento, preziose stampe originali e raffinate edizioni illustrate risalenti al primo Ottocento. Un pregiato tesoro a cui si aggiunsero più tardi i lasciti di don Paolo Macario, primo direttore dell’Accademia, e quello di altre importanti personalità, fino a formare un patrimonio stimato oggi in circa ottomila volumi.

Questa fu la passione del conte Luigi Tadini, la cui memoria fu scolpita in un solenne monumento di marmo innalzato al centro della sala che precede la sua amata biblioteca, la numero XXII. Fu commissionato nel 1839 allo scultore Giovanni Maria Benzoni da Odoardo Bazzini, all’epoca amministratore dell’Accademia, e consegnato nel 1858. Il giovane Benzoni, che fu educato presso l’Accademia di Lovere ed in seguito inviato a Roma per un soggiorno di studio, si affermò in breve tempo tanto da divenire uno tra i più richiesti scultori della città eterna. Nella figura marmorea di Luigi Tadini, che solleva un bimbo indirizzandolo alle “belle arti”, simboleggiate dalla tavolozza e dagli strumenti musicali, l’artista celebrò la memoria del proprio benefattore, dando vita ad una immagine emblematica del ruolo educativo che l’aristocrazia illuminata intendeva svolgere nei confronti della popolazione. Un concetto che conoscerà nella seconda metà dell’Ottocento la sua massima manifestazione e che il conte, non potendolo trasmettere all’unico amato figlio, non disdegnò di lasciarlo in eredità con orgoglio e passione alla sua gente.

[1] Nel 1798 in un infuocato discorso affermava: “Cittadini, noi tutti siamo Popolo: le usurpazioni della vana Aristocrazia e dell'orribile Dispotismo scomparvero ai sacri nomi di Libertà e di Uguaglianza”. Ciò non gli impedì, nel 1816, di rendere omaggio all’imperatore d’Austria, Francesco I, invitandolo a Crema a visitare le proprie collezioni d'arte: evento ricordato in una lapide in latino tuttora conservata presso l’Accademia.
[2] Il 4 marzo 1828 il conte Tadini dettava il suo testamento, pubblicato il 22 maggio 1829, nel quale dava disposizioni per la fondazione dell’Istituto di Belle Arti Tadini, articolato in una galleria per ospitare le collezioni d’arte, la scuola di musica “istrumentale e vocale” e una scuola di disegno.
[3] Luigi Tadini, Descrizione generale dello Stabilimento dedicato alle Belle Arti in Lovere dal conte Luigi Tadini cremasco, Milano, 1828, p. 79