La storica nevicata del gennaio 1985: tra mito e nostalgia, la cronaca di quei giorni

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L'ultimo vero colpo del Generale Inverno
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di Denis Pianetti
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Sono pochi a non ricordare, tra il nostalgico e l'epico, la grande nevicata che paralizzò l'Italia e in particolare Bergamo e il milanese nel gennaio del 1985: scuole e uffici chiusi, impossibilità alle auto di circolare, improvvisa, e imprevista, solidarietà tra i passanti, alberi carichi di una neve che cadeva inarrestabile su cittadini inesperti nell'affrontare questo clima da alta montagna.
Quell’anno era cominciato con un freddo fuori da ogni norma con valori che raggiunsero temperature minime, a seconda delle località, di oltre –15 °C e massime di –5 °C anche in pianura (quando il valore medio del medesimo periodo si attestava intorno ai –2,5 °C di temperatura minima ed i + 5 °C di temperatura massima) [1]. Una prima leggera nevicata, fino a quasi 20 centimetri al suolo, si ebbe verso la fine dell’anno precedente, ovvero il 27 dicembre 1984, con una ulteriore spruzzata di pochi centimetri il 9 gennaio 1985, quando la temperatura minima raggiunse i –11 °C mentre la massima non superava i –3 °C. Nulla faceva presagire a quanto sarebbe accaduto di li a pochi giorni, intenti più che altro ad osservare le colonnine di mercurio dei termometri ed il ghiaccio persistente: oltre quindici giorni di temperature rigide, sia di notte che di giorno, avevano come trasformato la neve precedentemente caduta in scivolose lastre di marmo; immaginabili, di conseguenza, i disagi su strade e marciapiedi, i problemi al riscaldamento e lo scoppio delle condutture dell’acqua; come non ricordare i pittoreschi ghiaccioli che ornavano le grondaie dei palazzi, le strade trasformate in piste di ghiaccio, laghi, fiumi e torrenti ghiacciati per lunghi tratti.
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Le condizioni meteorologiche non presentarono sostanziali cambiamenti, se si eccettua il breve episodio del 9 gennaio, sino a quasi la metà di gennaio: freddo pungente e assenza di precipitazioni.
Poi la svolta. Le correnti in quota cominciarono a cambiare direzione, portando un leggero rialzo termico sia nelle minime che nelle massime, e soprattutto molte nubi cariche di neve su tutto il nord Italia. Fu così che il 14 gennaio, con una temperatura minima di –7 °C ed una massima di –1 °C, la neve cominciò a cadere ininterrottamente, lasciando al suolo circa trenta centimetri in 24 ore. Ne scesero ulteriori quindici il giorno seguente, e altri venticinque il giorno 16, con la tendenza, dovuto al lento rialzo delle temperature, a divenire bagnata e pesante. In pochi giorni si accumulò al suolo un manto di oltre ottanta centimetri in città, e di oltre un metro nelle valli, tenendo conto di quanto era rimasto della nevicata di fine anno. Vennero impiegati mezzi cingolati della “Legnano” per spalare la neve e nel tentativo di spezzare la crosta di ghiaccio. Inestimabili furono i danni alle aziende: nei giorni successivi la neve appesantita dalle piogge causò in provincia il crollo dei tetti di duecento capannoni.

Un panorama magico e irreale si presentò a chi si affacciava dalla finestra la mattina del 17 gennaio 1985. Tutto era coperto dalla spessa coltre bianca, le auto letteralmente sepolte dalla neve, i treni diretti a Milano e a Brescia bloccati, i tetti e gli alberi appesantiti, tanto che non mancarono improvvisi crolli, soprattutto dei tetti delle vecchie cascine, e alberi e rami divelti o spezzati. Un bianco abbagliante avvolgeva tutto, e ben presto si iniziò a sentire il rumore dei tanti impegnati a spalare le strade per renderle più percorribili, poi sostituiti da ruspe e mezzi spazzaneve. Scuole, uffici e aeroporti chiusi, e ai lati delle strade e nei piazzali la neve accumulata superava anche i tre metri di altezza, tanto che il successivo mese di aprile era ancora lì ad ornare e a rinfrescare il paesaggio. Una nevicata d’altri tempi, dal carattere eccezionale per le località poste in pianura e che ha senza alcun dubbio lasciato traccia nei ricordi di tutti. L’intero nord Italia, ad eccezione della Valtellina che a causa del naturale sbarramento esercitato dalle Orobie vide proprio pochi fiocchi (Bormio in particolare l’attendeva con impazienza, visto che era stata scelta per ospitare i mondiali di sci), era stato sommerso dalla neve: tra i 70 e i 100 centimetri di neve a Milano, 90 a Bologna città, ben 130 sulle colline bolognesi e 150 a Trento città (dove venne superato, di poco, il record del 1929).

Subito si fecero i confronti con le ondate di neve del passato. Nell'inverno gelido del lontano 1894-95 caddero circa 90 centimetri di neve, in 25 giorni nevosi. Nel 1886-87 ne caddero 70, in 13 giorni di neve. Dopo la sfuriata invernale del 1929, altro singolare evento si registrò a metà febbraio del 1933, quando la città fu coperta da una coltre bianca alta 80 centimetri. Come non ricordare, poi, il febbraio 1956 quando si registrò un’ondata di freddo eccezionale in tutto il paese (storica fu la nevicata a Roma), che non diede tregua fra gelide temperature e violente bufere di neve per una ventina di giorni. L'inverno tra il 1977 e il 1978 va ricordato per l'alto numero (almeno una decina) di eventi nevosi che furono registrati su tutta l’Italia settentrionale. Si arriva quindi al mitico gennaio 1985 e poi, dopo quasi venti inverni dal clima piuttosto asciutto, ecco giungere tra il 26 e il 28 gennaio 2006, sempre nell'Italia settentrionale, un'altra nevicata eccezionale. La sua particolarità fu che, pur essendo meno abbondante e più breve di quella del 1985, durò metà del tempo (36-40 ore), ma fece registrare un'intensità e una velocità d'innalzamento del manto nevoso da primato: in città si raggiunse quasi il mezzo metro di altezza, mentre superò il metro in montagna. Quest'ultimo evento può essere considerato come la nuova nevicata del secolo (il XXI secolo). Di eventi nevosi parlando, come non ricordare infine uno dei più recenti colpi di coda dell’inverno: i 20 centimetri di neve farinosa caduti a Bergamo città il 3 marzo 2005 (anche se i nostri vecchi raccontano di un non lontano passato con abbondanti nevicate già a primavera inoltrata e persino di qualche bianco giorno di Pasqua).
Nota curiosa del gelido inverno del 1985, fu l’allarmismo, addirittura catastrofico, con il quale si accolse la storica nevicata, nonché l’ondata di freddo intenso che ne preparò la strada. I meteorologi di quel tempo iniziarono a preoccuparsi constatando che i cicli glaciali stavano per imporsi nuovamente sul nostro pianeta, dando il via a una nuova fase di raffreddamento del clima generale.
“Ogni centomila anni c'è un'Era Glaciale, seguita da diecimila anni di interglaciale, e, adesso, questo periodo è finito. Basterebbe un'estate fredda, non in grado di sciogliere tutta la neve dell'inverno, e ciò potrebbe costituire un’ottima "memoria" per creare un altro inverno rigido. Una serie di due-tre inverni rigidi potrebbe essere in grado di innescare una nuova glaciazione!". Queste erano le preoccupazioni degli scienziati ventitre anni or sono, mentre l'Effetto Serra era relegato ad una marginale ipotesi di lavoro discussa solo raramente tra gli specialisti.
Eppure, oggigiorno, nonostante quell’ipotesi potesse anche rivelarsi plausibile rivisitando la cronaca di quelle bianche e pungenti giornate, la nevicata del gennaio 1985 è entrata a far parte dei nostri ricordi. Anche con un pizzico di nostalgia.

[1] L'inverno tra il dicembre 1984 e il gennaio 1985 fu particolarmente rigido, caratterizzato da temperature sempre più basse, a causa di un'anomalia termica della stratosfera che provocò il congiungimento dell'anticiclone delle Azzorre con quello polare, permettendo la discesa di aria artica marittima sull'Europa. Praticamente tutta l'Europa era nel gelo. In Groenlandia era "primavera": Nuuk registrò una massima di 2 °C, nel sud dell'isola si registrarono 8 °C. Mentre la "pugnalata" fredda si spingeva in pochi giorni fin nel deserto algerino.
A partire dal 5 gennaio, una massiccia ondata di gelo proveniente dall'artico russo (più precisamente dal mare di Kara) raggiunse il mar Mediterraneo, avanzando con estrema velocità. L'ondata di gelo in un primo momento provocò estese nevicate sull’Italia centrale (Roma compresa) e, in misura minore, in Pianura Padana (sebbene non si trattasse di fenomeni eccezionali per il clima dell'Italia Settentrionale). A causa dell'inversione termica e dell'effetto albedo, le temperature minime in Toscana ed Emilia-Romagna raggiunsero e superarono i –20 °C. (Firenze arrivò a –23 °C, Parma a –25 °C). Successivamente, tra il 14 ed il 17 gennaio 1985, una depressione centrata sul mar della Corsica provocò quella che (assieme alle altre che seguirono nei giorni immediatamente successivi) è ancor oggi ricordata come la nevicata del secolo.