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di Denis Pianetti
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"... La mattina del 7 del passato mese noi eravamo a Leffe, e la meraviglia nostra non fu piccola quando scorgemmo le gigantesche zanne che ci si offersero allo sguardo. Giacevano esse impegnate per metà nel combustibile nel senso della lunghezza, avvicinate per la porzione alveolare, divergenti per la punta e per modo collocate che l'una si infossava verticalmente nella lignite, l'altra giaceva sopra un piano orizzontale. Questa si mostrava spezzata e contorta per la lenta si, ma enorme pressione sofferta. Dallo stesso piano del gradino di lignite vedevansi spuntare delle ossa, che furono riconosciute per due coste, e per l'ulna, ed altre troppo poco sporgenti per essere determinate. Framezzo alle radici delle due difese, di cui l'una misurava due metri e mezzo di lunghezza, giacevano delle ossa scomposte che non s'ardì scoprire sul sito, ma si ritenne dover appartenere al capo...."
Era il lontano 18 dicembre 1864 quando la notizia di una sensazionale e alquanto curiosa scoperta veniva data al pubblico presente ad una seduta della Società Italiana di Scienze Naturali: riguardava il ritrovamento di resti fossili di Mammuthus (o Elephas) meridionalis, un’antica specie di elefante, oggi estinto, detto anche “elefante del caldo”, che viveva nella vallata oltre un milione e mezzo di anni fa, quando la temperatura si manteneva ancora a livelli pressoché tropicali.
Era il lontano 18 dicembre 1864 quando la notizia di una sensazionale e alquanto curiosa scoperta veniva data al pubblico presente ad una seduta della Società Italiana di Scienze Naturali: riguardava il ritrovamento di resti fossili di Mammuthus (o Elephas) meridionalis, un’antica specie di elefante, oggi estinto, detto anche “elefante del caldo”, che viveva nella vallata oltre un milione e mezzo di anni fa, quando la temperatura si manteneva ancora a livelli pressoché tropicali.

Col passare degli anni sul fondo di quel lago si depositarono alberi divelti dai monti circostanti e trasportati dalle antiche acque; essi furono poi coperti da diversi strati di terriccio e di argilla subendo, così coperti dalla terra, le trasformazioni mineralogiche che li ridussero col tempo in giacimenti di lignite [1].
L’argine che conteneva le acque di quel grande lago cedette, fra la punta dell’Agro di Casnigo e quella di Prato Colle, circa 350 mila anni fa. Da allora l’incavo della valle andò svuotandosi lentamente, lasciando tuttavia per alcune migliaia di anni, una vasta palude sul punto più basso, quello corrispondente all’attuale territorio di Leffe.
Ancora oggi l’esistenza di quel lago è ampiamente confermata da diverse prove materiali. Tutte le piante erbacee trovate fossilizzate sono esclusivamente acquatiche e lacustri, come la “Typha” ed il “Butumus”; sono state poi scoperte, tra le fibre del materiale fossilizzato, anche numerose conchiglie lacustri. Tale materiale, rinvenuto oltre cento anni fa, è stato ampliamente studiato dai geologi dell’epoca, dando loro la possibilità di fornire una datazione certa e ulteriori ipotesi e notizie circa le fasi climatiche del passato più antico della vallata.
Fu grazie ai sedimenti di lignite che è stato possibile scoprire anche interessanti ed appariscenti resti fossili di carcasse di animali appartenenti, come scrisse il Maironi da Ponte nei suoi studi inerenti alla geologia del territorio bergamasco, “…con tutta certezza a qualche de’ maggiori poppanti terrestri o marini…”. Fra quei fossili spiccano quelli di Leptobos etruscus, Rhinoceros leptorhinus, Bos etruscus, Cervus affinis, Cervus ctenodeis e Emys europeae. Animali mastodontici che, per la sete, si avvicinarono ai fanghi del bacino, rimanendo in qualche modo imprigionati nello stesso fango mobile, e quindi inghiottiti.
Nell’estate del 1868, sempre a Leffe, furono rinvenuti i resti fossilizzati di uno scheletro, frantumato, ma quasi intero, di pachiderma o mastodonte, detto Elephas primigenius, o “Mammuth del freddo”, dalla pelle spessa e con cinque dita per ciascun piede. Un esemplare, questo, di un genere ormai estinto, che si avvicina molto agli attuali elefanti e che si ritiene già contemporaneo all’uomo detto preistorico. La profondità in cui i suoi resti furono rinvenuti, ovvero compressi entro lo strato più basso della torba, fa presupporre che esso abbia popolato la valle fino a poche migliaia di anni fa [2].

Nel passato più recente, lo sfruttamento dei giacimenti di lignite è stato purtroppo condotto in modo molto disordinato, senza tenere conto delle reali possibilità di giungere a nuove ed interessanti scoperte come quelle avvenute a fine Ottocento. Sicuramente, il sottosuolo di questa stupenda vallata custodisce altri segreti; ma, per ora, rimarranno segreti come lo è il mistero del tempo più antico.
Bibliografia

- Airaghi C., L'Elefante del Bacino di Leffe in Val Seriana (Elephas meridionalis, Nesti) (Con una tavola), Museo Civico di Storia Naturale, Bergamo, 1914, Vol. 53, Fasc. 1, Pag. 165
- Cornalia, Emilio, Sull'elefante trovato nella lignite di Leffe, Milano, 1865.
- Ghirardelli Aldo, Leffe e le sue chiese, Leffe, 1984
- L'Eco di Bergamo, Quella con i denti a sciabola viveva in Val Gandino, 1 giugno 2004
- Masoli Ilaria (Università di Padova), Gli antichi bacini lacustri e i fossili di Leffe, Ranica e Pianico-Sellere, Leffe, 2002
- http://www.museoscienzebergamo.it/
[1] La lignite è un minerale appartenente alla famiglia del carbone ed è un fossile ancora immaturo, dal colore giallastro, bruno o nero, imbevuto di acqua e di impurità, nel quale si riconosce ancora il legno. Contiene il 40-45% circa di carbonio e pertanto brucia male e produce poco calore. I giacimenti di lignite risalgono al terziario, raramente al secondario.
[2] La torba, propria delle zone paludose, ha iniziato il suo processo di ossidazione soltanto alcune migliaia di anni fa e si trova ancora imbevuta di molta acqua (presenta infatti un aspetto pressoché spugnoso).
[3] Da L’Eco di Bergamo del 01 giugno 2004: “Quella con i denti a sciabola viveva in Val Gandino”.
Anche Bergamo aveva la sua tigre. E che tigre! Già dal nome che le è stato assegnato se ne intuisce la ferocia: la tigre dai denti a sciabola o, se può incutere meno timore, dai denti a pugnale. Il tempo in cui abitava la media Valle Seriana, precisamente quella che era la zona lacustre di Leffe, è assai lontano. Si parla di un milione e mezzo di anni fa. Ma le abitudini di questo animale della specie dei megantereon si possono facilmente intuire dai resti che sono giunti fino a noi. «Era sicuramente carnivora - dice il professor Cesare Ravazzi, che è ricercatore al Consiglio nazionale per le ricerche e insegna paleontologia vegetale al corso di laurea in Scienze naturali all'Università statale di Milano - e viveva in un ambiente forestale quale poteva essere la zona della Val Gandino a quel tempo, temperato caldo, non molto dissimile da quello attuale. I denti a sciabola, o a pugnale, che ne hanno determinato il nome, sono gli incisivi. Insieme alle tigri vivevano in quella zona altri mammiferi come elefanti, rinoceronti, ippopotami e cervidi. L'uomo non c'era ancora, ovviamente. Dobbiamo pensare che le tracce dei primi ominidi in Europa risalgono a circa 800 mila anni fa e i fossili lo collocano in Spagna. Ma se ci fosse stato credo che non avrebbe abitato volentieri a Leffe con una vicina come questa tigre».
La ricostruzione della storia della tigre dai denti a pugnale di Leffe ha diversi elementi interessanti. A differenza degli altri animali, i cui resti ritrovati nelle miniere di lignite sono stati studiati già nel secolo scorso, l'esistenza della tigre è rimasta nascosta fino al 2002. «I denti della tigre sono rimasti fino al 1943 nei laboratori del Museo di Scienze naturali di Milano in attesa di essere studiati e catalogati. Poi con i bombardamenti che hanno colpito l'istituto si è pensato che il materiale recuperato dal sito di Leffe fosse andato irrimediabilmente perduto. Fino a 15 anni fa, quando l'Istituto per la dinamica dei processi ambientali (che aveva sede in Città Alta di fronte al Museo di Scienze naturali) ha riaperto lo studio dei fossili della Val Gandino in collaborazione con i Musei di Scienze naturali di Bergamo e di Milano, e ha provato ad addentrarsi nei magazzini del museo del capoluogo per vedere se qualcosa si era miracolosamente salvato».
Ad occuparsi della sezione dei mammiferi è arrivata dall'università di Padova la ricercatrice Marzia Breda che, sotto il coordinamento del prof. Ravazzi, ha identificato gli strani denti di un mammifero e con pazienza e precisione è giunta a ricostruire la struttura della nostra tigre.
È stata una grande soddisfazione per l'equipe bergamasca, che ha riversato molta energia nella ricostruzione di tutto l'ambiente dove viveva questo splendido animale. Ma c'è di più: ha appena aperto i battenti, al municipio di Leffe, una mostra dal titolo «L'antico lago, le ligniti e i fossili di Leffe». «In questa mostra - racconta il professor Ravazzi - si illustrano gli antichi ambienti ricostruiti in base al polline fossile, ai resti di mammiferi e agli altri fossili. Spesso si pensa che gli animali come la tigre, i rinoceronti e gli elefanti potessero vivere solo in ambienti come la savana, ma questi studi dicono che non è così. Gli animali si adattano al clima e all'ambiente molto più di quello che pensiamo. Nell'ambito della mostra c'è proprio la ricostruzione della tigre dai denti a pugnale, opera di Ilaria Masoli dell'Università di Padova, già presentata nel volume "Gli antichi bacini lacustri e i fossili di Leffe, Ranica e Pianico-Sellere"».
La tigre non abitava solo la zona di Leffe. «La nostra fortuna - conclude Ravazzi - è stata quella di ritrovare proprio nella nostra terra la testimonianza fossile. È probabile però che in tutta la zona delle Prealpi, nei siti in cui c'erano situazioni climatiche simili a quelle della Val Gandino, vivessero altre tigri insieme a tutti gli animali che abbiamo citato». Anche nella nostra terra, insomma, è aperta la caccia alla tigre!